Fiom-Cinque Stelle, così il sindacato più a sinistra di tutti è diventato grillino

Beppe Grillo aveva già messo le mani avanti cinque anni fa, nella campagna elettorale delle penultime politiche: quando diceva che i sindacati andavano «eliminati» – precisò da una piazza di Lecce – si rivolgeva in realtà «alla triplice, Cigl, Cisl e Uil, non ai piccoli sindacati come la Fiom con cui facciamo battaglie insieme». Ed ecco che, alla fine, il matrimonio tra Movimento cinque stelle e i metalmeccanici della Cgil si è celebrato. L’ex segretario Maurizio Landini ha più volte teso la mano alla sinistra dei pentastellati. E anche la segreteria della nuova Fiom guidata da Francesca Re David è popolata di nomi vicini e simpatizzanti dei Cinque stelle.

Prova ne è il banco saltato nella trattativa sulla vicenda IlvaFiom e Usb hanno fatto “cartello”, sostenendo che il ministro Carlo Calenda non fosse più legittimato a trattare, con una mossa più politica che sindacale. Un’opposizione tramata, raccontano i più informati, nelle segrete stanze tra la Fiom e il Movimento cinque stelle, che non ha mai fatto mistero di voler chiudere l’impianto siderurgico di Taranto. Salvo poi precisare di voler mantenere i posti di lavoro e cambiare posizione nel contratto di governo penta-leghista.

Il matrimonio Fiom-Cinque stelle ha anche un officiante. Rosario Rappa, componente della segreteria nazionale della Fiom, prima di essere eletto alla segreteria di Napoli, è stato segretario generale della Fiom di Taranto. Landiniano, ex comunista, ex di Rifondazione, da tempo detiene la delega alla siderurgia nel sindacato. In un’intervista a Dario del lavoro, Rappa è stato il primo dirigente Fiom a fare “coming out”: non solo ha detto di aver votato per il M5s, ma ha anche riconosciuto al movimento un impegno particolare a favore dei lavoratori. «Alcune loro parole d’ordine sono anche nostre», ha detto. «Come per il reddito di cittadinanza. Tra lavoro e reddito, noi siamo per il lavoro, non c’è dubbio», ha precisato, «ma se non c’è lavoro, e il sistema di ammortizzatori sociali è stato smantellato, il reddito lo devi garantire, devi dare un sostegno». Dalla segreteria, nessuno ha smentito l’endorsement.

L’attuale leader della Fiom, Francesca Re David, poco esperta di cose d’acciaio e in bilico tra i fuochi incrociati interni, ha delegato a Rappa i negoziati su Taranto. Come raccontano i presenti, al tavolo del Ministero dello sviluppo economico sull’Ilva, il dirigente Fiom ha sfoggiato addirittura uno smartphone con una cover con su il logo del Movimento cinque stelle. E, a trattativa saltata, avrebbe mostrato più di un sorriso compiaciuto.

Al posto della coscienza di classe i metalmeccanici della Cgil hanno messo l’ideologia dei diritti con il suo corollario di ambientalismo estremo, un certo culto della legalità, l’idolatria egualitaria. Ma l’ideologia dei diritti è proprio il collante che tiene insieme il variegato arcipelago dei 5 Stelle

A Taranto, a dirla tutta, la Fiom non sta benissimo. Ultima organizzazione nella Rsu (preceduta da Uilm, Fim e Usb), dopo l’intervento della magistratura sull’impianto siderurgico nel 2012, la base del sindacato cigiellino è emigrata in parte nell’Usb e in parte nel nuovo Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti. Contraria a quella Fiom di palazzo, che in tanti anni non ha scioperato contro la diossina che si alzava su Taranto, questa nuova base vanta legami con la sinistra da una parte e i Cinque stelle dall’altra. Nella città in cui, è bene ricordarlo, la rabbia grillina ha fatto il boom: a Taranto, il 4 marzo, il Movimento cinque stelle si è imposto come primo partito con il 47% dei voti.

La trattativa sull’Ilva alla fine è saltata con la scusa della revisione del premio di risultato (la proposta garantiva sia i livelli occupazionali sia la continuità contrattuale). Niente di imprescindibile, insomma. Evitando, a conti fatti, che l’accordo potesse essere blindato dal governo uscente prima che i Cinque stelle andassero a Palazzo Chigi. Intanto la Fiom ha strizzato l’occhio allo slogan del “chiudiamo l’Ilva”, abbracciato anche dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, mentre si parlava allo stesso tempo, e senza troppi dettagli, di bonifiche e reindustrializzazione del sito.

Qualche vecchio esponente del sindacato dei metalmeccanici della Cgil commenta: «Questa non è la Fiom. Mai viste posizioni così anti-industriali». In linea, d’altronde, con le posizioni del Movimento Cinque stelle, nonostante il 37% degli operai dica di aver votato per loro. «Al posto della coscienza di classe i metalmeccanici della Cgil hanno messo l’ideologia dei diritti con il suo corollario di ambientalismo estremo, un certo culto della legalità, l’idolatria egualitaria. Ma l’ideologia dei diritti è proprio il collante che tiene insieme il variegato arcipelago dei 5 Stelle», hanno scritto Augusto Bisegna e Carlo D’Onofrio.

Non si può vivere di solo web e Rousseau. I sindacati a Grillo & Co., al contrario degli slogan di partenza, servono eccome. Si comincia con la Fiom, si arriva alle alte stanze di Corso d’Italia

Ma, forse, è la stessa idea di riforma dei sindacati che accomuna grillini e Fiom. Luigi Di Maio, a settembre, dal palco del Festival dei consulenti del lavoro disse: «Con noi al governo o i sindacati si autoriformano o li indurremo a una riforma. Altrimenti si rischia di difendere solo posizioni di rendita». Ricordando quel Landini che, ancora segretario Fiom e velatamente renziano, del “sindacato casa di vetro” con il bilancio online aveva fatto il suo cavallo di battaglia, e anche di scontro – poi apparentemente rientrato – con la Cgil di Susanna Camusso.

Da una ricerca commissionata da Camusso all’Istituto Tecnè, è emerso che il 33 per cento degli iscritti alla confederazione cigiellina ha votato per i pentastellati: uno su tre. Uno sfondamento grillino nel sindacato di sinistra che, visto il “coming out” di Rappa, non riguarda più solo la base ma anche i dirigenti. Su circa 5 milioni di elettori della Cgil, 1,6 milioni hanno votato per i Cinque Stelle.

D’altronde i “programmi” del sindacato e del movimento hanno più di un punto in comune: l’abolizione della legge Fornero e del Jobs Act; la reintroduzione dell’articolo 18; i nuovi voucher (tornati nel “contratto di governo”); la riduzione dell’orario di lavoro, declamata sia da Susanna Camusso sia dai tecnici grillini, da De Masi a Tridico; l’introduzione di un reddito di garanzia. Venerdì 25 maggio la Cgil organizzato un convegno proprio sulla fattibilità del reddito di cittadinanza: a officiare l’evento ci sarà il segretario confederale ex Fiom Maurizio Landini.

La Cgil, in fondo, da tempo protesta per quelle cose che poi sono comparse nel programma grillino. Non c’è da stupirsi, quindi, se gli elettori li abbiano preferiti ai partiti di sinistra, ha commentato Giuliano Cazzola. Non a caso, quando la Cgil ha chiesto al nuovo Parlamento di discutere la Carta per i diritti del lavoro, i grillini sono stati i primi a rispondere all’appello.

Non si può vivere di solo web e Rousseau. I sindacati a Grillo & Co., al contrario degli slogan di partenza, servono eccome. Si comincia con la Fiom, si arriva alle alte stanze di Corso d’Italia.

Fonte: Linkiesta – di Lidia Baratta

del 19 Maggio 2018

 

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