I Cinque Stelle e i dieci droni da guerra costati 776 milioni. Ecco la la prima mossa del nuovo Parlamento

Ironia della sorte, il primo atto del nuovo Parlamento non è stato il taglio dei vitalizi o un qualsiasi investimento sul sociale o sui diritti in linea con le promesse elettorali, ma l’acquisto di dieci droni. Una “spesa militare”, dunque,  che costerà la bellezza di 776 milioni di euro. In assenza di una maggioranza di governo definita e nell’impossibilità di comporre e far partire le commissioni normali, Senato e Camera hanno istituito le cosiddette “Commissioni speciali”, che hanno competenze su tutti i temi più urgenti e sono presiedute da Vito Crimi dei Cinquestelle a Palazzo Madama e da Nicola Molteni della Lega a Montecitorio.

All’ordine del giorno della seduta di ieri di quella a Montecitorio c’era appunto lo “schema di decreto ministeriale di approvazione del programma pluriennale relativo all’acquisizione (…) di aeromobili a pilotaggio remoto e potenziamento delle capacità di IntelligenceSurveillance and Reconaissance della Difesa”. Tradotto dal burocratese, il provvedimento prevede l’acquisizione da qui al 2032 di “10 sistemi, costituiti ciascuno di due velivoli ed una stazione di comando e controllo”. Forse per far capire ai parlamentari meno esperti di che cosa si tratti, la relazione che accompagna il decreto spiega persino cosa sono i droni, definendoli come “velivoli a pilotaggio remoto, individuati con l’acronimo inglese UAV, introdotti nella tecnologia militare da alcuni anni, in particolare negli Stati Uniti”.

I droni fanno lo stesso lavoro degli aerei militari, ma sono più piccoli e silenziosi e non mettono a rischio nessuna vita umana perché sono telecomandati: “Consentono di effettuare ricognizioni in ambienti ostili e ad alto rischio, senza che venga messa repentaglio la vita di un pilota. L’assenza del pilota permette poi di costruire un velivolo molto più piccolo, capace di manovre aeree molto più impegnative, tali da essere difficilmente sopportate da un essere umano”, si può leggere ancora. E’ la stessa relazione a fornire altri particolari tecnici. Così sappiamo che i dieci droni con il tricolore stampigliato sulla carlinga – si presume – avranno “un peso al decollo di 1.500 Kg e saranno in grado di operare fino a 14.000 metri per un tempo di volo pari a circa 24 ore”.

Il fatto è che i droni vengono utilizzati anche per bombardare. L’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, per esempio, negli anni trascorsi alla Casa Bianca ha autorizzato alla  moltissime operazioni mirate contro i terroristi che prevedevano l’utilizzo dei droni: attacchi meno evidenti e “scenografici” di quelli coi missili scelti dal suo successore Donald Trump, ma pur sempre atti militari.

Il programma di acquisto era stato preparato dalla ministra uscente della Difesa Roberta Pinotti e dovrà essere portato avanti dal ministro che prenderà il suo posto, e che avrà il vantaggio, però, di trovare le cifre necessarie per l’acquisto già stanziate. L’operazione non è certo di poco conto: il costo complessivo, tra acquisto, manualistica e addestramento, è stimato dallo Stato maggiore della Difesa in 766 milioni di euro e sarà spalmato su sette esercizi. L’anno nel quale l’investimento inciderà maggiormente sarà il 2022, quando la legge finanziaria vincolerà 161 milioni di euro al progetto di difesa.

La cosa “singolare” è che il primo atto della nuova legislatura è stato sostenuto proprio dai vincitori delle elezioni, M5s e Lega. Il relatore del decreto è addirittura un esponente dei Cinquestelle, il deputato Davide Crippa, piemontese, alla seconda legislatura.   E pensare che, meno di un anno fa, l’11 maggio 2017, il Movimento aveva sottoposto al voto degli iscritti un programma di governo per il settore della Difesa che, votato in rete da 19 mila e 747 iscritti, impegnava a ridimensionare il “programma degli F35”, bollato come “inutile e costoso”.  Allora, prima della svolta “governista” di queste settimane, i Cinquestelle chiedevano di “tagliare” i capitoli sugli “armamenti offensivi”. Oggi hanno cambiato idea, facendosi addirittura promotori dell’ approvazione del piano di investimenti predisposto dalla ministra della Difesa del Pd.  Contro l’atto di esordio del nuovo Parlamento hanno invece protestato sia Stefano Fassina,  oggi tra i dirigenti di LeU  che Francesco Boccia, dem.

Il relatore pentastellato si difende. “Io non sono nè “pro” acquisti militari, né contro; sono soldi già stanziati dall’ultima legge di bilancio. Certo – ammette -, con questo acquisto il nostro Paese sarebbe il terzo al mondo quanto a numero di droni”. Stefano Fassina  denuncia che, oltretutto, la legge sarebbe scritta male: “Larga parte dei 766 milioni vengono non dal bilancio del Ministero della Difesa, ma dal bilancio del Mef e sono sottratti a investimenti per mobilità sostenibile, sicurezza stradale, riqualificazione delle stazioni ferroviarie, infrastrutture edilizia pubblica, compresa quella scolastica… cose così”, denuncia l’ex viceministro del Pd .

Stamattina la Commissione Speciale di Montecitorio esaminerà altri due provvedimenti cari ai seguaci di Beppe Grillo, seguiti da altri due deputati del Movimento, per i quali il centrodestra ha già dichiarato di voler votare a favore: un decreto legislativo per l’attuazione della direttiva Ue sulla sicurezza dei dati e dei sistemi informativi, di cui è relatore Stefano Buffagni, fedelissimo di Luigi Di Maio e uomo di fiducia di Davide Casaleggio, e un altro sull’uso dei codici di prenotazione a fini antiterrorismo, di cui è invece relatore Vittorio Ferraresi, di Cento, pure lui alla seconda legislatura.

Sempre nella giornata di oggi, la commissione (unica) esaminerà anche il decreto di proroga delle nomine per l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, provvedimento del quale è relatore invece un leghista, Dario Galli.  “E’ evidente che si tratta di una scelta di campo; il presidente della Lega ha scelto solo relatori di Lega, M5s e, in via residuale, di Fratelli d’Italia e Forza Italia”, si è sfogato Boccia, che avrebbe dovuto essere il presidente dell’organismo e che, invece, è “solo” il capogruppo del Pd. “Andranno avanti così, a fare tutto loro da soli?”, chiede polemicamente. Già, perchè, così come per le nomine degli Uffici di presidenza delle due Camere, per ora sono i due partiti che si sono proclamati “vincitori” delle elezioni a condurre il gioco in Parlamento. Quasi da soli, dunque. Altra cosa, come si sa, è invece trasferire le attuali “convergenze parallele” in un’intesa di governo che si sta rivelando sempre più problematica.

Fonte: notizie.tiscali.it – del 18 Aprile 2018

di: Paolo Emilio Russo, giornalista parlamentare

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