Dalle mazzette ai diamanti, tutti i guai della Lega Nord

Dai conti sequestrati di oggi, indietro fino a Tangentopoli. Ecco come, nella Lega, la razza padana s’è mescolata in un quarto di secolo con la Roma ladrona. “Ladroni in casa nostra”, sintetizzava amaro nei primi anni Duemila un cartello delle valli bergamasche. Azzeccato?

«Per amor di Dio sì». Nel gennaio 1994, interrogato dall’allora pm Antonio Di Pietro, il capo della Lega Umberto Bossi risponde così alle domande sui duecento milioni incassati dal tesoriere Alessandro Patelli come contributo alla campagna elettorale, provenienti dalla Montedison attraverso l’amministratore delegato Carlo Sama e, materialmente, Marcello Portesi. Patelli stesso l’aveva ammesso un mese prima, davanti ai militanti ad Assago, dandosi del pirla: «Ingenuità, stupidità, o pirlaggine: chiamatela come volete.». Ingenui, sempre. Stessa versione di Bossi davanti a Di Pietro: «Eravamo senza soldi, senza finanziamenti. Per amor di Dio». «Per amor di Dio si o per amor di Dio no?», domanda il magistrato. «Per amor di Dio sì», risponde Bossi.

“Sono socio fondatore della CrediEuronord, e tu?”. Ecco lo slogan, con tanto di faccione di Bossi, nel manifesto che alla fine degli anni Novanta lancia la Popolare CrediEuronord, la banca padana per i padani. L’impresa scricchiola nel 2003, nel 2004 vien comprata da Giampiero Fiorani. Il quale, dalla galera, chiarirà poi di aver tentato il salvataggio affinché i leghisti cambiassero idea su Bankitalia e Antonio Fazio (sperava di ottenerne favori). Nel flop vengono coinvolti 3.500 soci, la banca dilapida venti milioni di euro in quattro anni. La sentenza assolve però i dirigenti leghisti coinvolti. La Lega si dichiara vittima del crac. E per anni lancia sottoscrizioni per risarcire i militanti.

Villaggi turistici. Tra i disastri finanziari negli anni Novanta a opera del tesoriere Maurizio Balocchi da Genova, il fallito tentativo di costruire un villaggio turistico nell’Istria croata: 14 ettari, 180 appartamenti, albergo, piscina, centro benessere, golf , porticciolo. Cento militanti padani sottoscrivono le azioni della Ceit srl, che doveva realizzare il tutto. Finisce in un crack spettacolare e seguente inchiesta per bancarotta fraudolenta. Catastrofe pure il successivo tentativo di buttarsi nel business delle sale da gioco, con la Bingo.net: per risarcire il danno, Balocchi dovrà vendere due case di proprietà.

The family. L’impareggiabile cartellina “The family” spuntata nel 2013 dalla cassaforte del tesoriere leghista alla Camera, che contiene la lista delle spese dalla famiglia Bossi, tra cui: quasi diecimila euro per l’operazione di rinoplastica del figlio Sirio, le multe di Renzo, la ristrutturazione della casa di Gemonio, la laurea albanese in gestione aziendale del Trota.

Parte lesa. Il tesoriere genovese Franco Belsito, allievo di Balocchi, alla vigilia di Capodanno 2012 fa partire da Genova il bonifico da 4,5 milioni di euro, destinati a finire in un fondo in Tanzania, svelando il giro di mega prelievi, operazioni offshore, movimenti di assegni, vorticosi giri tra Africa e Cipro, milioni di corone norvegesi e pacchi di dollari australiani. Si darà così il via al processo che ancora oggi dà filo da torcere al Carroccio. Nel quale il segretario Matteo Salvini spiega essere la Lega, ancora una volta, “parte lesa”.

Undici diamanti. Belsito ormai ex tesoriere, riconsegna alla Lega undici diamanti e dieci lingotti, facendoli trasportare da Genova a Milano nel bagagliaio della A6 prima a disposizione di Renzo Bossi. L’autista, il collaboratore leghista Paolo Cesati, arriva a via Bellerio e consegna l’automobile, direttamente.

Fonte: L’Espresso

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