Bibi nell’angolo. Le manifestazioni israeliane contro Netanyahu e la demagogia di Elly Schlein

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La chiusura del premier israeliano alla proposta dei due Stati rinfocola il sentimento del più odioso antisemitismo. Da noi, i fatti di Vicenza lo dimostrano. E sul piano politico una critica severa non dovrebbe scadere nella denuncia spicciola della vendita di armi allo Stato ebraico (che non vendiamo)

«Restituisci il mandato. Chi divide non unirà, chi distrugge non costruirà, chi distrugge non creerà», ha scandito l’altra sera dal palco sulla piazza Habima di Tel Aviv Yonatan Shamriz, fratello di uno dei tre ostaggi uccisi per errore il mese scorso dall’esercito israeliano a Gaza. Un’altra manifestazione, partecipata da famigliari degli ostaggi, si era svolta la sera prima a Caesarea davanti alla casa del primo ministro israeliano. Bibi Netanyahu è politicamente braccato. Dal suo popolo. È la democrazia in atto. In Israele, l’unico posto di quella parte del mondo dove questo può avvenire.

I parenti degli ostaggi non ce la fanno più, il popolo non vede soluzioni. La crisi politica è latente, ma è impossibile dire se e quanto a lungo il premier resisterà. A questo punto, è chiaro che più Netanyahu si barrica e più sarà difficile uscire dalle sanguinolente sabbie mobili in cui ha cacciato il suo Paese oltre che gli abitanti di Gaza, incrementando ogni giorno il rischio di un’escalation che di fatto c’è già. La crisi del Mar Rosso probabilmente richiederà una missione europea alla quale l’Italia non potrà sottrarsi, e già annusiamo l’aria delle solite proteste cosiddette pacifiste, come se europei e americani potessero tollerare che i terroristi yemeniti possano impedire la libera circolazione delle navi.

Purtroppo le risposte del presidente israeliano alle lungimiranti proposte avanzate con pazienza e coraggio dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden non lasciano molto spazio alla speranza, ma dopo più di cento giorni dal maledetto Sette Ottobre non c’è alternativa al progetto americano che prevede due Stati: intanto la dannata chiusura di Netanyahu a qualunque proposta politica va rinfocolando ovunque il sentimento anti-israeliano che fa presto a indossare l’abito del più odioso antisemitismo.

Da noi, i fatti di Vicenza lo dimostrano. Non ci può essere alcuna confusione tra questi estremisti violenti con bastoni e passamontagna e la critica per quanto dura nei confronti del governo israeliano. E sul piano politico una critica severa non dovrebbe scadere nella demagogica denuncia della vendita di armi a Israele, una cosa semplicemente inesistente che però aizza una polemica falsamente “pacifista” buona per qualche applauso de sinistra: ma se è con queste armi che Elly Schlein pensa di vincere il duello televisivo con Giorgia Meloni, bisognerebbe che i vari Piero Fassino, Pina Picierno e Lorenzo Guerini le impartissero qualche ripetizione.

I rigurgiti antisemiti vanno tenuti sotto controllo. «Dal mese di ottobre alla fine dell’anno sono triplicati i casi di antisemitismo in Italia e questo è intollerabile», ha detto Stefano Parisi, presentando la nuova associazione “Setteottobre” a Roma. «E quando si attacca Israele, quando si attaccano gli ebrei, si colpisce il nostro sistema di valori. Abbiamo dato vita a “Setteottobre” perché vediamo il rischio della fine dell’Occidente democratico, perché non possiamo rimanere inermi di fronte a questa deriva, dobbiamo reagire».

Nella stessa manifestazione, Ali Waked, direttore della sezione araba del canale israeliano iNews24 della tv israeliana, ha osservato che «Hamas è contro lo Stato palestinese e a Gaza sta perdendo in popolarità, mentre se si votasse oggi in Cisgiordania vincerebbe. Ma le immagini di Gaza non possono cancellare cosa è successo in Israele. Ecco perché le elezioni dovranno aver luogo dopo aver costruito un percorso di fiducia, che sarà lungo e difficile, ma in cui noi arabi israeliani possiamo giocare un ruolo importante per andare verso un accordo. Senza un accordo fra quindici anni vedremo un altro sette ottobre».

In questo clima, si va verso il 27 gennaio, il Giorno della Memoria, la giornata celebrata in tutto il mondo per commemorare le vittime dell’Olocausto e non c’è occasione migliore per avviare una riflessione sull’uso propagandistico della nozione di genocidio e sulla recente parossistica riemersione dell’odio antiebraico. E un’altra ricorrenza in qualche modo “gemella” sarà quella del 24 febbraio, a due anni dall’invasione della Russia all’Ucraina che resiste: a Milano si terrà una manifestazione con la comunità ucraina, mentre Marco Bentivogli, subito appoggiato da Piero Fassino, ha proposto un’analoga iniziativa a Roma.
Fonte: Linkiesta

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