Crisi di governo: te lo do io Grillo
Fuori di dubbio abbiamo davanti la più grande opera scenica di Beppe Grillo. Una serie appassionante e coinvolgente arrivata alla quindicesima stagione che ti incolla alla tv e al web, tutta ritmi sincopati e colpi di scena a ripetizione. Una opera pop che va ben oltre il situazionismo, in cui è vero tutto ma anche il suo contrario, in cui gli estremi si piegano fino al punto di toccarsi, in cui la scansione degli eventi mette a dura prova le leggi della logica, quasi fosse Cristopher Nolan il regista. Si potrebbe chiamare Te lo do io Grillo, legandola così con una sorta di filo rosso alle fortunate e popolari trasmissioni del comico genovese di inizio anni ’80 (ricordate Te la do io l’America e Te lo do io il Brasile?). La genialità di questa creazione artistica però sta nel fatto che non si tratta di un’opera di finzione. In questi 15 anni Grillo ha fatto della realtà (ovvero Piazze e Palazzi) il suo palcoscenico, ha fatto del pubblico gli attori, ha fatto della cronaca la tambureggiante sceneggiatura.
Non si può spiegare altrimenti la storia (semiseria) dell’evoluzione della specie grillina, la cui ultima tappa è sicuramente la più sorprendente anche se altrettanto sicuramente non quella finale. Per controbattere alla mossa del cavallo di Renzi e disinnescare la crisi politica, il comico ha lanciato la proposta di un governo Conte sostenuto da tutti i partiti, maggioranza e opposizione, una sorta di inciucissimo nazionale. Così imponendo alla sua creatura, il Movimento 5 Stelle, l’ennesima mutazione, l’ennesimo passo avanti nella scala evolutiva. Partendo dal brodo primordiale dei meet up e delle piazze del Vaffa Day nel lontano 2005, il movimento ha subito la prima trasformazione nel 2009 con le liste e le partecipazioni alle prime competizioni elettorali laddove le parole d’ordine erano semplici: la politica fa schifo, il parlamento è putrido, i partiti sono tutti morti. Slogan che vanno bene nell’età dell’oro dell’opposizione e della crescita spaventosa dei consensi ma che mostrano subito tutti i loro limiti al comparire delle prime responsabilità di governo. Siamo nel 2018, anno della seconda trasformazione, della maggioranza gialloverde e del governo col barbaro Salvini. Ed è proprio Salvini che obbliga l’organismo plasmato da Grillo a un velocissimo quanto acrobatico terzo step evolutivo: l’estate del Papeete e dei pieni poteri spinge la “cosa” pentastellata ad allearsi con l’arcinemico Pd. Una piccola grande rivoluzione copernicana per il Movimento, non tanto per il partito democratico in sé quanto per il tanto odiato Renzi, che pur tuttavia resta alleato sia quando milita a fianco di Zingaretti sia quando si mette in proprio con Italia Viva. Una storia che si ferma, per ora, al quarto stadio, quello del governo con tutti, belli o brutti, teorizzato oggi dal suo demiurgo-fondatore.
Tutti ora aspettiamo il quinto, che al momento resta abbastanza imperscrutabile anche se inevitabilmente ci sarà. Charles Darwin ci scommetterebbe qualcosa in più di un penny.
Fonte: Huffingtonpost