Di Maio abbandonato in alto mare

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C’è un motivo se, nelle stanze che contano, sono ricominciati i ragionamenti anche attorno all’ipotesi di un ritorno al voto. L’eventualità che il capo dello Stato vuole scongiurare. È una eventualità discussa in vari gabinetti di guerra tra Matteo Salvini e i suoi fedelissimi: “Di Maio sta esagerando, la deve piantare di fare il furbetto giocando con noi e col Pd, con la pretesa di andare a palazzo Chigi. Dopo il Friuli tiriamo dritti e puntiamo alle urne”.

 Ma evidentemente non è solo una minaccia a giudicare da quel che sta accadendo a Mediaset, dove nelle prossime settimane si materializzerà un cambio radicale di linea nei programmi: chiusura anticipata del programma di Paolo Del Debbio e di quello di Maurizio Belpietro, considerati la traduzione televisiva del salvinismo: “Il Dottore (così chiamano in azienda Silvio Berlusconi) imputa a quei programmi la perdita di quattro punti a favore di Salvini nella scorsa campagna elettorale. E adesso che possono esserci nuove elezioni, si cambia”.
È uno “state pronti” che rivela un cambio drastico di clima. E il ritorno dell’ipotesi di un ritorno immediato alle urne nel novero delle possibilità. Un cambio di clima di cui fa parte la decisione di andare al Quirinale tutti assieme, al secondo giro di consultazioni. Ecco la scena. Alla Vetrata del Quirinale, dopo il colloquio con Mattarella, si presentano assieme i tre leader del centrodestra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Dettaglio, non irrilevante: saranno gli ultimi ad essere ricevuti perché le consultazioni procedono, come da prassi, in ordine di grandezza, dalle delegazioni dei partiti più piccoli a quelle più grandi. E i più grandi, diciamo così, hanno l’onere della proposta.
 È la fotografia del naufragio di Luigi Di Maio. O quantomeno del suo tentativo, improvvisato e velleitario fondato su tre elementi: il veto, insormontabile, su Silvio Berlusconi; la richiesta non negoziabile di andare a palazzo Chigi; l’offerta di un contratto “politico” che assomiglia a un contatto di locazione, in cui non è importante chi sia l’inquilino – se la Lega o il Pd – ma l’importante è che paghi l’affitto. Senza alcuna “costruzione politica” in termini di valori, programmi. Impianto franato, perché Matteo Salvini si presenterà come leader del centrodestra, ma con Berlusconi al suo fianco. Difficile leggere questa mossa come una “neutralizzazione” del Caimano, come accaduto con i presidenti delle Camere.
Il che non significa che sia scoppiato l’idillio tra Berlusconi e Salvini, ma la politica è questa: ogni azione determina nuove condizioni e nuovi equilibri. È successo questo nelle ultime 24 ore. Silvio Berlusconi, con grande abilità, ha trasformato un veto subito in un veto imposto con una certa durezza. In sostanza ha detto a Salvini: “Se vuoi fare la stampella di Di Maio col tuo 17 per cento, accomodati. Se vuoi fare il leader del centrodestra nel suo insieme non si possono non fare i conti con me”. E Salvini, che vuole fare il leader del centrodestra, ha rilanciato proponendo una delegazione unitaria. Ciò che, inascoltata, disse Giorgia Meloni qualche giorno fa. Se ne parlerà in un vertice ad Arcore nel fine settimana: composizione, linea comune, proposte da fare al capo dello Stato, atteggiamento da tenere in relazione a un eventuale pre-incarico.

Sia come sia, è una mossa che cambia, e non poco, il quadro. Perché è evidente che avvia un processo nuovo, tra tre leader che in una campagna elettorale da separati in casa faticarono (e non poco) anche solo a concedersi per una foto assieme. E anche a livello sistemico. Spiega una fonte leghista di alto livello: “Matteo si presenta come leader di tutto il centrodestra, il che significa che non si parla più di governi del presidente e robe del genere. Adesso Di Maio farà un tentativo col Pd e andrà a sbattere. A quel punto se vuole trattare con noi, si tratta su un nome terzo e con Forza Italia dentro, altrimenti si vota”.

Ragionamenti e calcoli che non tengono conto del Quirinale. Perché il potere di scioglimento è prerogativa assoluta del capo dello Stato che, come noto, non è propenso all’idea di riportare in tempi brevi il paese al voto. Però l’ipotesi che sembrava remota qualche giorno fa è tornata al centro delle strategie dei leader. Anche Berlusconi si sta preparando all’eventualità, perché tra un governo ostile con i Cinque stelle e le urne sono meglio le urne.

Si chiariscono così meglio i contorni del “parricidio” che ha in mente Salvini, uno che conosce la politica intesa come ruvidi rapporti di forza: non regalare a Di Maio una passerella a palazzo Chigi, ma tirare dritto al voto trasformando l’Italia in un grande Friuli con la Lega che raccoglie le spoglie di Forza Italia dando vita a un partito unico. Perché dopo la “delegazione unica” il passo è breve. E Di Maio, specularmente, che rosicchia punti percentuali a danno del Pd, approfittando della crisi e della confusione di un partito senza leader, identità, energia vitale e ancora sotto shock. Ecco, nel giorno in cui sembra franare un possibile patto di governo, tutto parla di una oggettiva convenienza a un patto per il non governo. E per una nuova ordalia elettorale.

Fonte: HuffingtonPost – del 06 Aprile 2018

di Alessandro de Angelis – Vicedirettore, L’Huffpost

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