Annunciare riforme è facile, ma senza un cronoprogramma è inutile

In passato Governi Italiani hanno giustificato scelte necessarie, ma non popolari, affermando che “ce lo chiede l’Europa”. Stavolta col Recovery Plan tutta l’Ue investe sull’Italia, ma per concretizzare le riforme ci vuole un progetto costruito e governato.

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Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza italiano tratta anche di Riforme, ma non indica un sistema coordinato e un cronogramma che sono invece essenziali per l’approvazione europea del Piano stesso e per il suo successo. Si direbbe che programmare Riforme (con la R maiuscola) nel presente della politica italiana sia molto difficile, se non impossibile. Annunciarle è facile, stimarne gli effetti è possibile, ma per concretizzarle ci vuole un progetto costruito e governato.

Riforme annunciate

Nel Recovery Plan sono annunciate almeno quattro grandi riforme sistemiche che poi vengono spesso evocate.

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Quella della giustizia, per “aumentare la trasparenza e la prevedibilità dei procedimenti civili e penali in termini di durata”. L’effetto sarebbe quello di ridurre gli ostacoli agli investimenti, così aumentando l’attrattività del nostro Paese e la competitività delle nostre imprese.

Quella del sistema tributario, ”in particolare l’Irpef, per renderlo più equo,semplice ed efficiente”, per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, per proseguire la lotta all’evasione e l’incentivazione della tax compliance.

Quella del mercato del lavoro, in termini di maggiore tasso di partecipazione ed equità, nonché per incrementi di produttività anche con particolare attenzione alla formazione permanente e ricorrente.

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Quella della pubblica amministrazione, con la digitalizzazione dei processi e dei servizi e il rafforzamento della capacità gestionale e della fornitura dell’assistenza tecnica necessaria alle amministrazioni centrali e locali.

Riforme ipotizzate

Le riforme annunciate diventano però riforme ipotizzate quando nel Piano, dopo aver affermato che le azioni di riforma “saranno sinergiche e interagiranno con gli investimenti pubblici”, si fanno tre affermazioni fortemente cautelative che rivelano come il tutto sia ancora nel campo delle ipotesi.

La prima affermazione è che le riforme strutturali “necessitano di un ulteriore grado di definizione“ per essere quantificate nei loro effetti sulla crescita.

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La seconda è che vi è un “elevato margine di soggettività della valutazione quantitativa delle riforme“ e quindi si citano solo come “esempi” le riforme della Pubblica Amministrazione, della Giustizia, del Fisco e del Lavoro.

La terza è che l’impatto sul Pil delle prime tre Riforme potrebbe nel medio periodo (orizzonte a cinque anni) aumentare ulteriormente quello previsto sul tendenziale di base in forza degli investimenti finanziati dal Piano. Ciò significa che nel 2026 si passerebbe da 3 punti percentuali a 4 punti percentuali di incremento. Se a queste riforme si aggiungesse anche quella del lavoro specie per aumentare il tasso di partecipazione si avrebbe l’aumento di un altro punto percentuale. In definitiva da un aumento sul tendenziale del Pil previsto nel 2026 di tre punti percentuali, si passerebbe ad un aumento di cinque punti percentuali.

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Pur apprezzando la cautela dei tecnici (certamente bravi) che hanno fatto queste stime, ritengo che le stesse siano credibili purché le Riforme si facciano davvero.

Riforme europeizzate

Diversamente, si corrono dei grossi rischi sia sul finanziamento del nostro Piano, sia sugli effetti dello stesso in termini di crescita e di occupazione per il nostro Paese. 

Basti citare le “linee guida” della Commissione in cui, richiamandosi ai rispettivi articoli del Regolamento sul Recovery and Resilience Facility, si afferma che i piani nazionali devono definire “il programma di riforma e investimento dello Stato membro interessato. I piani di ripresa e resilienza ammissibili al finanziamento nell’ambito del presente strumento comprendono misure per l’attuazione di riforme e progetti di investimento pubblico attraverso un pacchetto coerente”. In molti altri documenti ufficiali si chiedono anche previsioni credibili di finanza pubblica che in termini di debito e deficit diventeranno gestibili se il Pil cresce vigorosamente.

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In passato Governi Italiani hanno giustificato scelte necessarie, ma non popolari, affermando che “ce lo chiede l’Europa”. Questa volta con il Next Generation Eu e il Piano di Ripresa e Resilienza tutta la Ue innova per lo sviluppo e investe molto sull’Italia. Nel nostro interesse, e per rispondere a questa fiducia con necessarie riforme, bisogna dialogare nel continuo con le Istituzioni europee utilizzando anche una nuova funzione della Commissione che di recente si è dotata della Direzione Generale per le “Riforme”. Questa DG, guidata da Mario Nava, ha il compito di consigliare e supportare i Paesi membri nel progettare le riforme e nell’attuarle applicando anche il diritto dell’Ue (il cosiddetto acquis) per utilizzare i fondi europei. Per il periodo 2021-2027 questa DG ha ricevuto una dotazione finanziaria di oltre 700 milioni di euro per svolgere le sue funzioni

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Una conclusione: cooperazione e fiducia

Non si tratterebbe ovviamente di delegare alla Commissione e alle sue varie DG le nostre riforme, ma di facilitare l’allineamento delle stesse a standard migliori per evitare che il nostro Paese non riesca ad adempiere ai requisiti del Next Generation Eu senza il quale la nostra crisi socio-economica non verrebbe superata. Conviene a tutti far prevalere i consigli alle bocciature. La Ue ha dato fiducia all’Italia e noi dobbiamo dimostrare che la meritiamo. 

fonte: Huffingtonpost

Link: https://www.huffingtonpost.it/entry/annunciare-riforme-e-facile-ma-senza-un-cronoprogramma-e-inutile_it_600eedb2c5b6a46978d35a25?utm_hp_ref=it-homepage

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