Con la riforma di Inps e Inail M5s e Lega raddoppiano le poltrone

Col decreto che riforma le pensioni e disciplina il reddito di cittadinanza il governo riforma le strutture di comando dei due grandi enti previdenziali italiani. Dopo le liti con Boeri, il Carroccio propone una gestione collegiale: non più il solo presidente. Il risultato è che dopo dieci anni tornano in vita i consigli di amministrazione, che il governo di Silvio Berlusconi aveva abolito. Composti di 4 persone ciascuno, affiancheranno il presidente e costeranno quasi due milioni.

Cinquestelle e Lega negano che l’obbiettivo siano le teste dei due presidenti di Inps e Inail, Tito Boeri e Massimo De Felice, anche se il primo è da tempo in odore di rimozione, a causa delle battaglie durissime ingaggiate col vicepremier Matteo Salvini, che è arrivato, senza mezzi termini, a invitarlo a “dimettersi e a candidarsi col Pd”. Eppure nel decreto legge che il governo sta per varare e che contiene le due misure simbolo del Governo del Cambiamento, reddito di cittadinanza e quota 100, all’articolo 24, è contenuta la riforma della governance dei due principali enti previdenziali italiani. Governance è il termine inglese con il quale si indica il sistema di governo di un organismo, e il nuovo assetto pensato dal governo di M5s e Lega, così duri contro la “casta” così e duri coi “boiardi di Stato”, contiene una sorpresa non da poco: la moltiplicazione delle poltrone e la lievitazione degli emolumenti.  

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I costi di gestione 

I due colossi della previdenza italiana funzionano oggi sulla base di una riforma che fu promossa nel 2010 dal governo di Silvio Berlusconi. Con il decreto legge 78, il centrodestra li trasformò allora in due enti di fatto monocratici, concentrando tutti i principali poteri nelle mani del presidente. Così fu eliminato il consiglio di amministrazione, all’epoca composto da quattro componenti, che fu “tagliato” con l’obiettivo di realizzare un risparmio, oltre che con quello di garantire una maggiore snellezza del processo decisionale. E’ pur vero che Inps e Inail hanno dei bilanci mostruosi, che rappresentano da soli una grossa fetta del Pil italiano, ma è altrettanto vero che anche i costi di gestione di questi colossi sono importanti. Il solo collegio dei sindaci, composto da un presidente, un vice, sei membri effettivi e sette suppletivi, pesava sulle casse dell’ente per quasi tre milioni all’anno sul bilancio dell’Inps e per 2,4 milioni su quello dell’Inail. Un tentativo di ritornare alla gestione collegiale, anche alla luce delle continue polemiche tra i presidenti e Matteo Renzi, che pure li aveva nominati, era già stato fatto anche nel corso dell’ultima legislatura. L’ex ministro del Lavoro, e prima ancora sindacalista, Cesare Damiano, aveva pensato una proposta di riforma che puntava a coinvolgere sindacati e parti sociali, ma Paolo Gentiloni, che se l’era ritrovata tra capo e collo a fine 2017 come emendamento alla sua ultima legge di Bilancio, non se l’era sentita di passare per un “epuratore” e di aumentare le spese. 

“Atto Camera 1158”

A insistere per un nuovo assetto che fa risorgere il consiglio di amministrazione e distribuisce le relative buste paga ai consiglieri è stata invece la Lega. Rubricata come “Atto Camera 1158”, la proposta è stata scritta da un nutrito gruppo di parlamentari, tra cui anche il capogruppo Riccardo Molinari. Dapprima era stata incardinata alla commissione Lavoro di Montecitorio, ma poi l’esecutivo ha deciso di accelerare e di infilarla dentro al decreto che dovrebbe vedere la luce nel giro di un paio di giorni. Al centro della riforma c’è dunque lo svuotamento del ruolo del presidente, con la ricostituzione di un consiglio di amministrazione composto da 4 esperti nominati proprio dal governo. Tra Inps e Inail ci sono dunque otto poltrone e altrettanti – mega? – stipendi da spartirsi tra i partiti – per fortuna solo due – della maggioranza. Nove anni dopo, essere un membro del Cda di Inps e Inail torna ad essere un mestiere. Perché questa accelerazione? L’Inps dovrà gestire la complicatissima partita dell’applicazione di Quota 100, la riforma delle pensioni gialloverde che pure il presidente uscente ha definito una misura “iniqua, maschilista, nordista”.

La corsa alle poltrone

Per questa ragione molti si aspettavano che la riforma della governance dell’istituto lasciasse presagire il licenziamento di Boeri. Luigi Di Maio, però, ha smentito di voler piazzare commissari pro tempore. In realtà non ci sarebbe nemmeno molto tempo: l’economista che fu scelto dall’ex premier e leader Pd, scadrà naturalmente il 16 febbraio, cioè tra poco più di un mese, e dunque la maggioranza punta ad approvare “la riforma” contestualmente con la fine del ciclo di Boeri. L’uscita dell’economista milanese avrà un contraccolpo economico non irrilevante. Boeri, infatti, si era autoridotto lo stipendio a 102 mila euro lordi l’anno, meno della metà della cifra massima che il governo di allora aveva fissato come tetto per i manager pubblici. Il suo predecessore, Antonio Mastrapasqua, sommando diversi incarichi, era arrivato invece a percepire oltre un milione e duecentomila euro. 

Con la riforma della governance se ne andrà invece un anno e mezzo prima del tempo, invece, Massimo De Felice, presidente dell’Inail al secondo mandato, che scadrebbe naturalmente nel novembre 2020. Per diventare membri del cda c’è già la fila. Il costo a carico dello Stato per il funzionamento dei due organismi dovrebbe essere di poco inferiore ai due milioni di euro; non moltissimo, ma neppure una bazzecola. E pensare che ancora ieri i due vicepremier Salvini e e Di Maio si sono impegnati a “tagliare gli stipendi dei parlamentari” e già rivendicano di avere inserito in manovra “il taglio delle pensioni d’oro”, che si è tradotto però in un contributo a carico delle pensioni del ceto medio.

Fonte: notizie.tiscali.it – 8 gennaio 2019

Link: https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/inps-e-Inail-Boeri-e-De-Felice/?fbclid=IwAR1t2sPTtiOgPxzaJaQS9vXLvp9S54uvSQSBiE-yVqha4K0Up9XrLKV4d-Q

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