Cinque stelle allo sbando: Bonafede indebolito, Crimi poco riconosciuto, Di Maio dato in eterno ritorno. Di Battista muove (inutilmente) pedine, non più pervenuta la Taverna. E quando c’è da decidere è un bel problema…
Tra i parlamentari 5Stelle rimbalza questa domanda: “Dov’è il ministro della Giustizia, nonché il nostro capo delegazione, quando si parla di lavoro nero?”. In effetti Alfonso Bonafede, domenica notte, era seduto al tavolo della trattativa con accanto il sottosegretario Riccardo Fraccaro. Ma i due non riuscivano a decidere. Su Bonafede pesa la mozione di sfiducia presentata dalla Lega per la scarcerazione dei boss a causa del Coronavirus. È debole all’interno della maggioranza perché criticato da molti di Italia Viva con toni piuttosto pesanti e il provvedimento sugli invisibili è targato proprio Italia Viva, quindi è meglio non farli arrabbiare troppo. Ma è debole anche all’interno del Movimento, non solo per le scarcerazioni, ma soprattutto perché considerato troppo in linea con il premier Conte e quindi con il Pd.
Non è un caso se, malgrado sia il capo delegazione, non ci siano tracce di sue dichiarazioni sul decreto Rilancio. Tiene un profilo basso, quindi molto debole. Nel frattempo la vicenda sulla regolarizzazione dei migranti si ingarbuglia e sempre domenica notte viene chiamato Vito Crimi. In video collegamento si accende anche la finestrella del capo politico. Le prime linee sono tutte schierate. Da sotto il tavolo scambiano di continuo messaggi per capire cosa fare. Danno il via libera all’accordo, ma l’ala di destra del Movimento gli si rivolta contro, sbuffano anche molti ministri e sottosegretari. E quindi arriva la retromarcia, che finisce con un doppio salto carpiato per tornare al punto di partenza.
Questo è solo un piccolo spicchio della balcanizzazione 5Stelle, che attende gli Stati generali per scegliere il nuovo capo politico. Crimi sarebbe dovuto essere solo di passaggio e invece si ritrova a gestire il partito di maggioranza più numeroso. Si fa a gara per depotenziarlo, tra una trappola e l’altra compresa quella sui migranti. Per alcuni deputati, a questo punto, non occorre che Di Maio riconquisti lo scettro di capo politico: “Tornerà”. Solo gli eventi dei prossimi mesi diranno se e quanta voglia avrà l’ex capo politico di ritornare in pista per riprendersi la leadership della creatura fondata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
In caso anche Alessandro Di Battista potrebbe recitare la sua parte in commedia, con molti parlamentari con i quali è in costante contatto. Invece dai radar è sparita, in questa emergenza Coronavirus, Paola Taverna, accredita fino a non molto tempo fa come la futura leader. Storicamente no vax è evidente che non sarebbe stata la persona giusta al posto giusto, poiché vi è un’Italia intera che attende il vaccino come unica speranza per cacciare la paura del contagio.
In questo quadro, l’accordo sui migranti viene chiuso definitivamente tre giorni dopo, ma i disaccordi restano e sono destinati a diventare ancora più profondi di prima. Quando i 5Stelle iniziano a leggere con attenzione il testo capiscono che qualcosa non quadra rispetto alle dichiarazioni di Crimi che ha cantato vittoria. Nei fatti il datore di lavoro, purché non abbia reati pendenti, può autodenunciarsi e regolarizzare il lavoratore pagando in tutto 400 euro all’Inps. In tanti restano scontenti ma il rischio era far saltare il governo, con le dimissioni di Teresa Bellanova, o andare incontro alla sfiducia di Bonafede. Di certo, durante la trattativa sul decreto Rilancio sono venute fuori tutte le inimicizie e le conflittualità. “Siamo troppo deboli. Non possiamo essere rappresentati da Crimi e Bonafede. Siamo appiattiti su Conte e sul Pd”, si sfoga un componente del governo.
E come era naturale, superata l’emergenza Coronavirus si sono “scongelate” le correnti, agguerrite come nei giorni delle dimissioni di Luigi Di Maio. Non si tratta solo della corrente cosiddetta “filo sovranista”, cioè dei nostalgici di Matteo Salvini, ma ci sono anche tanti “big”, stanchi dal susseguirsi di cedimenti in nome del governismo. Il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia non lo si sentiva da un po’ e invece è tornato in partita contro la regolarizzazione dei migranti. In contrasto con l’ala più dialogante del Movimento, quella che guarda a sinistra e che lavoro in sintonia con il Pd, quindi il ministro Federico D’Incà e il presidente della commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia. Entrambi molto vicini al presidente della Camera Roberto Fico. Nel mirino di molti ministri è finita anche la ministra Nunzia Catalfo, rea di aver trattato per l’emersione dei lavoratori invisibili.
“Purtroppo i nodi politici riemergono e sarà così fino agli Stati generali…”, spiega una fonte del Movimento. La tregua tra i “big”, da Di Maio a Roberto Fico, da Paola Taverna a Alessandro Di Battista, sembra vacillare. Ciò che manca è un punto di riferimento. Come avviene spesso in questi casi c’è chi invoca un intervento del garante: “Dovremmo incontrare Beppe e parlare con lui”. Ma Grillo resta defilato. Mentre il Movimento naviga tra lo scontro per leadership futura e il rischio di una scissione.
Fonte: HUFFPOST