Ungheria, repressione senza manganello

Viaggio nel paese della “democrazia illiberale”, dove oggi Orban vedrà Salvini per intavolare un’alleanza che potrebbe cambiare l’Europa

“C’erano alcune migliaia di persone, pensavo meno. Bene così…”. Balázs Babel, del sindacato dei metalmeccanici ungheresi, ha appena finito di sfilare con le sigle sindacali non filo-governative al corteo del primo maggio a Budapest. È soddisfatto perché abituato a gestire magre vittorie nell’era di Viktor Orban, il capo di Fidesz al potere dal 2010 col 50 per cento dei consensi, colui che ha trasformato l’Ungheria in una sorta di ‘regime’ condannato anche dal Parlamento europeo. Eppure, visto da vicino attraverso le riflessioni dei critici come il giovane Balàzs, questo regime non ha niente di classico, ma tanto di moderno, molto efficace e allo stesso tempo inafferrabile. “Qui non c’è violenza, non ci sono prigionieri politici, la polizia non carica mai i manifestanti”, ammette il sindacalista. “Ma chi si espone contro il governo e magari riesce anche ad acquisire una certa fama, diventa subito oggetto di una campagna di fango da parte dei media quasi tutti filo-governativi…”.

Di recente è successo ad una giovane 18enne. È diventata famosa in Ungheria per aver preso la parola nelle manifestazioni di quest’inverno contro la cosiddetta ‘legge schiavitù’, il provvedimento che permette ai datori di lavoro di chiedere ai dipendenti fino a 400 ore di straordinario e di pagarle anche tre anni dopo. I media l’hanno massacrata per i voti bassi a scuola, lei ha denunciato e vinto in tribunale: la vita privata non c’entra, hanno deciso i giudici. “Ma intanto la sua popolarità è finita azzoppata”, dice Balàzs. Eppure i giudici le hanno dato ragione, nell’Ungheria di Orban: come è possibile?

“Quest’inverno abbiamo avuto ben 5 scioperi nel settore auto”, dice il sindacalista e stavolta la sua soddisfazione è più nutrita. “Non si era mai visto prima, tanto che il 2019 è stato definito l’anno degli scioperi”. Ma questo non significa che il potere di Orban si stia sfaldando. Oggi il premier ungherese accoglie Matteo Salvini, deciso a portare il leghista in un’alleanza con il Ppe dopo le europee, determinato ad espandere nell’Unione la sua teoria di “democrazia illiberale”.

“‘Democrazia illiberale’ è un ossimoro, eppure Orban ce la farà, alle elezioni non ha rivali”, ci dice Tibor Meszmann, ricercatore dell’Accademia del gruppo di sociologi ‘Helyzet’, “gramsciano”, si definisce così quando lo incontriamo al termine del suo intervento ad un convegno in memoria dell’economista austro-ungherese Karl Polanyi. Partecipano in pochi, ma il convegno non si tiene in un scantinato carbonaro, bensì all’università Corvinus, molto frequentata dagli studenti stranieri. Eppure questa è l’Ungheria di Orban. “Ma lui non agisce con le minacce dirette”, ci dice Tibor. Non ne ha bisogno, perché agisce a monte: “Ha messo su un sistema clientelare che copre i settori che maggiormente dipendono dai fondi pubblici, anche europei, ma anche il settore privato, i pensionati e qualsiasi ambito professionale. I suoi ‘cannoni’ sono i media: li ha usati per sbaragliare la protesta dei medici otto anni fa. Questo è un regime che usa metodi molto sottili ma molto efficaci”.

“Orban è un tipo arguto, un manipolatore, un giocatore di scacchi: guarda lontano prima degli altri”, ci racconta Katalin Halmai, reporter che lavorava al giornale di opposizione ‘Népszabadsàg’, ora chiuso perché il governo ha fatto pressione sulle aziende affinché ritirassero la pubblicità dal quotidiano. Katalin ora è corrispondente da Bruxelles per il giornale ‘Népszava’, sempre di opposizione ma con non molta efficacia, come lei stessa ammette. “Radio, tv e la maggioranza dei quotidiani sono filo-governativi: è difficile per la gente andare oltre la propaganda…”.

E tutti si sentono ricattati, soprattutto sul lavoro. Tibor, per dire, ha fatto di tutto per rendersi indipendente: si guadagna lo stipendio come ricercatore in Slovacchia pur occupandosi di Ungheria. “Ma tanti miei colleghi che sono pagati dai centri ungheresi non parlano liberamente. In ogni università c’è una sorta di ‘cancelliere’ nominato dal governo, con il compito di controllare tutto…”. Chi sgarra, rischia. I maestri di scuola non possono dare interviste senza il permesso delle autorità. “E’ dura reggere, sul piano personale”, ammette Tibor.

Anche la storia della chiusura della ‘Central European University’ (Ceu) di George Soros, l’arci-nemico di Orban, è molto ‘sofisticata’. Una volta rilasciava due certificati di laurea: uno ungherese e uno americano, ragion per cui era molto in voga. Il governo ha vietato che potesse rilasciare il certificato americano fino a quando non avesse aperto una sede negli Stati Uniti. Cosa che è avvenuta, ma ora il governo ungherese dovrebbe andare a fare un sopralluogo prima di dare l’ok eventualmente. Ma si sta prendendo il suo tempo: ufficialmente non è un no, ma nei fatti lo è. Kafkiano.

Ma cos’è che ha fatto scattare la molla del successo di Orban nove anni fa? Annamària Artner, una dell’Accademia delle scienze ungheresi, non ha dubbi: “Dieci anni fa non è nato un regime. Si è solo passati da un gruppo di potere ad un altro, da un pezzo di elite ad un altro pezzo di elite della stessa borghesia”. Insomma, una restaurazione di ciò che rischiava di crollare sotto i morsi della crisi del 2008 ma con una facciata diversa: comunque efficace. “La paura dei migranti era lì, pronta all’uso. Orban l’ha usata”, dice Tibor. E anche Balàzs è d’accordo: “L’immigrazione è la chiave del suo successo, anche se l’Ungheria non ha mai conosciuto flussi massicci: i siriani arrivati in massa nel 2015 hanno usato il nostro paese solo come terra di passaggio per andare al nord Europa”.

Eppure, secondo un recente sondaggio, il 62 per cento degli ungheresi è anti-immigrati, laddove in Europa lo è il 12 per cento. Di più: da quel 62 per cento non sono esclusi gli elettori di sinistra, che in Ungheria si sdoppia sempre in qualsiasi formazione. “Abbiamo due partiti socialisti, due Verdi, l’opposizione è frammentata, anche per questo è inefficace”, dice la giornalista Katalin.

Nel frattempo, lo slogan orbaniano “prima l’Ungheria” funziona, a dispetto della realtà. “Lui parla di democrazia illiberale, qualsiasi cosa voglia dire, ma la realtà è che le sue ricette sono neo-liberali”, continua Balàzs ricordando il pacchetto Orban che nel 2012 ha reso il lavoro più flessibile, lo sforzo del governo di tenere i salari bassi fino a soli tre anni fa, i più bassi d’Europa per attrarre investimenti. “Magari arrivavano investimenti, ma se ne andavano le persone verso paesi con salari migliori – continua Balàzs – e ora in Ungheria c’è carenza di manodopera qualificata”. Persino il governo è dovuto correre ai ripari, aumentando il salario minimo del 15 per cento nel 2017 (25 per cento solo per gli operai specializzati) e ancora dell’16 per cento negli ultimi due anni (8 per cento all’anno).

“Questo rafforza l’immagine del governo – riconosce il sindacalista – nonostante che i salari restino ancora i più bassi d’Europa, siamo dietro la Slovacchia, la Polonia…”. Secondo le stime dell’ufficio statistico ungherese però, anche il pil cresce, al ritmo del 4 per cento nel 2017, 5 per cento nel 2018, un’aspettativa del 3,5 per cento per quest’anno. Un mix che sembra imbattibile. “Anche noi sindacati siamo riusciti ad aumentare gli stipendi in diversi stabilimenti – continua Balàzs – Certo, siamo costretti a muoverci in un ambito di contrattazione aziendale, non nazionale. Col governo, nessun rapporto…”. Ma in Ungheria i sindacati sono sei: la metà sono molto vicini al governo.

“Orban non è uno stupido”, riconosce Tibor, mentre lasciamo l’università situata sul Danubio. La sera è calata sul primo maggio, Budapest ha celebrato la giornata dei lavoratori senza rabbia. “Ma anche qualora ci fosse stata – precisa Balàzs – qui la polizia non carica. Le ultime cariche importanti risalgono al 2006 in una manifestazione contro l’allora governo socialista. Allora, le violenze delle forze dell’ordine in piazza furono cavallo di battaglia di Fidezs contro i socialisti. Ecco perché ora che sono al governo non possono usare violenza, si sono inventati altro…”.

Fonte: http://www.huffingtonpost.it
By Angela Mauro – 02/05/2019

Link: https://www.huffingtonpost.it/2019/05/02/ungheria-repressione-senza-manganello_a_23720552/?utm_hp_ref=it-homepage

Viaggio nel paese della “democrazia illiberale”, dove oggi Orban vedrà Salvini per intavolare un’alleanza che potrebbe cambiare l’Europa. #confrontodem

Rispondi

Scopri di più da Liberi Indipendenti

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading