“I 5 stelle non sono meglio dei giovani Dc. Vogliono solo il potere”

A Valle Giulia, quando gli studenti fecero a botte con i poliziotti, stava dalla parte della polizia: “Ricevetti l’ordine di manganellare e manganellai. Il mio battaglione era dislocato a piazzale delle belle arti, ma i disordini furono così duri e imprevisti che fummo coinvolti anche noi. Fu l’atto di nascita del movimento del sessantotto in Italia, e io stavo con i suoi nemici”. Sei mesi dopo, Michele Placido vinse il concorso all’accademia di arte drammatica: “Passai da una barricata all’altra, dalla destra alla sinistra. Dopo tre anni trascorsi in caserma scesi in piazza con i contestatori. Sbandieravamo l’icona di Che Guevara, avevamo come mito Salvador Allende, la guerra in Vietnam ci appariva come una violenza ingiustificabile. C’era in noi una forma di purezza, una sensibilità nei confronti di ogni ingiustizia commessa in qualsiasi parte del mondo. Detestavamo la classe politica, ma non volevamo sostituirci a essa. Il nostro obiettivo era cambiare tutto, non andare al governo”.

Oggi la parola movimento fa venire subito in mente i Cinque stelle.

Sono un’altra cosa. Noi sessantottini eravamo privi di ambizioni politiche. I Cinque stelle, invece, stanno diventando ogni giorno più ambiziosi. Misurano ogni gesto in relazione al vantaggio che ne possono ottenere nella corsa per vincere le elezioni. Non sono meglio dei giovani democristiani contro cui ci scagliavamo al tempo. Noi urlavamo: “La fantasia al potere”. Ai Cinque stelle della fantasia non importa niente. Quello che desiderano è il potere.

Eppure, lei aveva accolto positivamente la loro novità.

Consigliai ai miei figli di votarli. Avevo visto una speranza, una promessa di cambiamento. Si stanno rivelando un fallimento. E non lo dico con compiacimento. Mi creda: mi dispiace.

Ora hanno un nuovo leader, Luigi Di Maio.

Ho letto che un suo avversario alle elezioni interne si qualifica come: ‘Vegetariano’. Da quando non mangiare carne è diventata una dote politica? Beppe Grillo dovrebbe smetterla di mandare questa gente allo sbaraglio.

Cosa dovrebbe fare?

Candidarsi. Avere il coraggio di essere un vero leader. Rischiare tutto e dimostrare la sua capacità di governo. Faccia una campagna elettorale contro Berlusconi, Renzi e Salvini. Se mi convince, sono pronto a votarlo.

Alle elezioni di Roma, Virginia Raggi la convinse?

Non mi convince ora che è sindaco. Roma è una città massacrata, ma da quando lei amministra non è successo nulla. Non me la prendo con lei. Me la prendo con chi avrebbe dovuto affiancarle persone capaci, mettendola in grado di assumere delle decisioni. Lei, da sola, non è all’altezza.

I problemi di Roma però non li ha creati Virginia Raggi.

Questo è vero: la storia recente di questa città racconta che il marcio viene da lontano. Se nei prossimi dieci anni le condizioni di Roma non miglioreranno, la pagherà tutta l’Italia. Nessun paese può pensare di separare il suo destino da quello della sua capitale.

Tre anni in polizia, ma ha fatto molti film sui criminali: la affascinano?

Vengo da una famiglia della provincia pugliese. Eravamo otto fratelli, cinque maschi e tre femmine. Mio padre faceva il geometra, non poteva mantenerci tutti. Ho cominciato a fare il poliziotto per non gravare su di lui. Ogni mese mandavo a casa trentamila lire. In certe circostanze, il confine tra la scelta di fare il poliziotto e quella di fare il criminale è molto sottile. Sopratutto al sud. La garanzia di diventare una persona perbene ce l’hai se nasci ai Parioli. Allo Zen di Palermo, no.

Il male è solo una questione economica?

No, il male fa parte della natura umana, altrimenti non si spiegherebbero il nazismo, il fascismo, lo stalinismo. Tuttavia, un criminale qualsiasi è niente in confronto a George W. Bush, che ha bombardato l’Iraq mentendo sul fatto che Saddam Hussein possedesse armi chimiche. Dov’è il vero male? Nel delinquentello napoletano o nell’avvocato della Milano bene che fa affari con la ‘ndrangheta?

Non è una contrapposizione troppo facile?

Può darsi, ma non bisogna dimenticare chi comanda e chi è comandato. Negli anni novanta, Cosa nostra arruolò nel suo braccio armato ragazzi che avevano a malapena diciotto anni. Gli stiddari si chiamavano. Venivano dal niente. Erano spacciati. Quella era l’unica possibilità che il mondo offriva loro. La presero. Ma la mafia prima li usò, poi li buttò nel cesso. E io non riesco a mettere sullo stesso piano loro e chi se ne è servito.

Prova pietà?

Sì, la provo. Da piccolo, volevo fare il missionario. Per quattro anni ho studiato in un collegio religioso. C’è un residuo cristiano in me che mi spinge a cercare l’umanità nascosta in qualsiasi essere umano, anche il più sporco: è lì che vedo la possibilità del riscatto. Poi, certo, c’è una differenza tra le persone che scelgono e quelle che non hanno scelta. C’è gente che ambisce al potere e per ottenerlo è disposta a fare qualsiasi compromesso, a usare ogni mezzo. Per loro dominare è il piacere più grande, il godimento massimo. Per questo alcune volte il crimine sconfina nella politica.

Fare il poliziotto le è servito a capire certe pulsioni?

Fare il poliziotto mi è servito a conoscere gli italiani. In caserma ho incontrato friulani, calabresi, siciliani, veneti. La maggior parte di noi veniva dalla povertà. La madre contadina, il padre operaio, i fratelli in cerca di sfangare la vita da emigrati. È stata un’esperienza umana straordinaria.

Le è stata utile per fare l’attore e il regista?

Tutto serve per fare l’attore e il regista. Anche la fortuna. Io ho avuto quella di lavorare con Luca Ronconi, con Mario Monicelli, Marco Bellocchio e molti altri.

Però rifiutò di fare il protagonista di “Ecce Bombo” con Nanni Moretti.

A Nanni piacevo perché avevo l’aria del ragazzo del sud innocente e colmo di pudore. Aveva chiamato il protagonista Michele, come me. Poi lo interpretò lui, ma senza cambiargli il nome.

Tornerebbe al cinema da attore?

Dovrebbe accadere qualcosa di eccezionale, ma mi sembra altamente improbabile: vedo un panorama abbastanza grigio.

Non le piace nessuno?

No, mi piace Gabriele Mainetti, che ha dimostrato con ‘Jeeg Robot’ di avere una notevole fantasia. Mi piacciono i soliti Garrone e Sorrentino. Mi piace e rispetto molto Nanni Moretti. Ha fatto la storia del cinema. Ma che vuole, con gli anni tutti perdiamo un po’ di colpi.

Fonte: HuffingtonPost – del 24/09/2017

di Nicola Mirenzi

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