L’ex capitano del Noe Scafarto “voleva inchiodare Tiziano Renzi alle sue responsabilità” fino ad “arrestarlo” ma ciò è avvenuto anche attraverso un “travisamento dei fatti e violazione delle regole giuridiche di governo della prova indiziaria”. E’ quanto mette nero su bianco la Procura di Roma nell’atto di impugnazione alla decisione del Riesame con cui il 27 marzo scorso è stato riammesso in servizio il maggiore dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, coinvolto nel filone di inchiesta sulla fuga di notizie in relazione al caso Consip.
Per i magistrati romani “l’impugnata ordinanza del Riesame, che trasforma orrori di sicuro rilievo penale in errori, qualificati con evidente ridondanza linguistica ‘involontari'”, è un provvedimento “che si contrappone alle regole del diritto sostanziale e processuale, della logica e del buonsenso”. Una risposta senza mezzi termini a quanto deciso dal Riesame che nelle motivazioni di quel provvedimento aveva attribuito a Scafarto (indagato per falso, depistaggio e rivelazione del segreto d’ufficio) non condotte dolose ma solo errori.
Nel provvedimento depositato alla Suprema corte i pm ricostruiscono la vicenda che coinvolge l’ufficiale dell’Arma a cominciare da quanto compare nell’informativa da lui redatta il 9 gennaio del 2017.
Scafarto, per la Procura romana, voleva incastrare Tiziano Renzi, un obiettivo che “l’indagato si rappresentava così come si deduce da alcuni messaggi whatsapp e dalle conclusioni a cui si giunge nelle informative del 9 gennaio e del 3 febbraio 2017”. Inoltre, rilevano i magistrati, persino il reato contestato a Renzi senior era contro ogni logica del diritto e tentava di scavalcare le prerogative del pm con “una qualificazione giuridica del fatto -scrivono- che autorizzava la custodia cautelare in carcere, contro ogni logica giuridica e probatoria al fine di espropriare l’autorità giudiziaria di qualificare il fatto stesso”.
Fonte: Huffington Post
del 13 Aprile 2018