“La mia generazione ha fallito. Il suo unico dovere morale è scomparire”. Parla Oliviero Diliberto, che ora insegna diritto romano ai cinesi

Oliviero Diliberto non dà interviste dal 2013, “da quando la mia parte politica fu sconfitta disastrosamente” e il suo giudizio di oggi, nell’intervista al Corriere della Sera, non ammette repliche: “La mia generazione ha fallito. Il suo unico dovere morale è scomparire”. Venti anni fa è stato ministro della Giustizia, governo D’Alema. Ora la sua vita è cambiata, anche se l’insegnamento ha sempre fatto parte della sua vita: sta insegnando il diritto romano alla Cina, nell’ateneo di Wuhan, la città con 200 università e 10 milioni di abitanti a oltre mille km da Pechino. Di più: sta aiutando il governo di Xi Jinping ad adottarlo nel proprio codice civile.

 Ha parole di elogio per il presidente cinese, “ha avviato una campagna di riforme mai vista prima”, fra cui “otta alla povertà, Stato fondato sul diritto, contrasto alla corruzione. Che significa anche morigeratezza”. Nessun problema per il mandato a vita, anche perché “Roosevelt fu presidente degli Stati Uniti per quattro mandati e ne avrebbe fatto un quinto se non fosse morto”. C’è la pena di morte e il record mondiale di esecuzioni capitali, ma “c’è anche negli Usa e nessuno si indigna. Con la differenza che gli americani avrebbero dovuto abolirla, perché in fatto di diritti umani hanno una tradizione che in Asia non esiste. Invece non riconoscono neppure la Corte penale internazionale dell’Aja”.

Ricorda come divenne comunista:

“Era il 1969. Entravo in quarta ginnasio a Cagliari. C’era l’autunno caldo. Alcuni militanti distribuivano volantini per strada. Non li avevo mai visti. I volantini, dico. Rimasi folgorato dall’idea che si potesse cambiare il mondo”. […] “Come spiegò Enrico Berlinguer a Enrico Mentana, sono felice d’essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù. Non so quanti possano dire lo stesso”. Oggi un comunista vive “con sobrietà. Da non confondere con il pauperismo”.”Per anni ho avuto un pusher che mi forniva il pregiato caffè di Sant’Elena, l’isola dove morì Napoleone. Sul Frecciarossa viaggio in seconda classe. Ho insegnato gratis all’università anche mentre ero in aspettativa parlamentare. Ci sono andato con le stampelle, dopo che mi era scoppiata la rotula in un brutto incidente domestico. Ho fatto persino gli esami in carcere a Totò Cuffaro”.

Oliviero Diliberto parla anche di politica italiana, con molta amarezza. Si avvale della “facoltà di non rispondere” quando gli si domanda perché i poveri, che in Italia sono sempre di più, non votino per il Pd.

“Il proletariato è più numeroso dei ceti abbienti, ma nelle elezioni, ahimè, entrano in gioco fattori ideologici, propagandistici, religiosi, antropologici. Pensi ai consensi raccolti dalla Dc. Un partito interclassista che, a questo punto, tutti rimpiangiamo”. […] “Non si possono tenere insieme Gramsci, Kennedy, Luther King e don Milani”.

Secondo Diliberto del Pd “non c’è più niente”, mentre Matteo Renzi “dovrebbe scomparire. Ma non lo farà”. Quanto all’ipotesi di un governo fra Lega e M5S il giudizio è lapidario.

“Il peggio che ci possa capitare. Ma gli elettori hanno deciso così. Nel 2007 assistetti per caso dalla finestra di un hotel di Bologna al primo V-Day con Beppe Grillo. Un fanatismo e uno schiumare di rabbia terribili. L’idea che chiunque ha fatto politica sia un delinquente, a prescindere, contraddice tutti i valori della democrazia rappresentativa dai tempi di Pericle a oggi”.

Fonte: Huffington Post

del 31/03/2018

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